Dr. Guido Cerrato
Metodologia diagnostica per l’incontinenza urinaria femminile.
I dati riportati in letteratura sulla prevalenza dell’incontinenza urinaria variano ampiamente, in funzione sia della popolazione studiata che della definizione utilizzata, con valori che vanno dal 12 al 51% di tutta la popolazione valutata e la prevalenza risulta essere circa doppia nelle donne rispetto agli uomini.
Possiamo affermare che in Italia vi sono oggi oltre tre milioni di incontinenti urinari, anche se tale prevalenza è abbondantemente sottostimata.
Una distinzione cruciale è quella tra pazienti incontinenti “conosciuti” dal servizio socio-sanitario (poiché seguiti dai medici di medicina generale e dagli assistenti sociali, oppure ricoverati nelle sezioni per lungodegenti, nelle strutture sanitarie del territorio, nelle case di riposo per anziani, nelle unità spinali e cosi via) e pazienti “sconosciuti” al servizio socio sanitario (popolazione generale) che rappresentano sicuramente la grande maggioranza. In particolare occorre sottolineare come tutte le malattie del sistema nervoso congenite e acquisite possono determinare una incontinenza urinaria e come l’incontinenza sia presente in oltre il 50% degli anziani istituzionalizzati.
L’incontinenza urinaria è stata descritta infatti come un dei “tre giganti dell’invecchiamento” insieme alla confusione mentale ed alle cadute per inadeguato controllo posturale.
Nella grande maggioranza dei soggetti al di sotto dei 65 anni, di sesso femminile, l’incontinenza è una condizione patologica ad eziologia conosciuta (anche se sicuramente il parto rappresenta un fattore di rischio), mentre nel maschio è quasi sempre secondaria ad interventi chirurgici, come quelli sulla prostata e ad eventi traumatici.
La patologia del pavimento pelvico del soggetto femminile può manifestarsi clinicamente con disturbi di natura funzionale (incontinenza urinaria e fecale, dispareunia, ritenzione urinaria, stipsi) o anatomica (ernie del perineo quali cistocele, isterocele, enterocele, rettocele) variamente associati tra loro.
Negli ultimi anni l’attenzione del mondo sanitario verso questi problemi è aumentata, dando impulso alla ricerca scientifica, anche in ambito radiologico. La metodica ecografica, da anni utilizzata nel campo della patologia perineale, ma poco conosciuta anche dagli specialisti del settore, si avvale di procedure ormai codificate ed ha il vantaggio di essere economica, riperibile, tollerabile e non richiede apparecchiature dedicate, sofisticate e costose a tutto vantaggio della diffusione delle macchine sul territorio.
L’ecografia perineale può completare l’indagine per via sovrapubica, non è dolorosa e non esige preparazioni diverse da quella già richiesta per l’ecografia dell’addome inferiore (vescica mediamente distesa dall’urina).
Appoggiando la sonda ecografica sul perineo anteriormente e posteriormente si valuta (prima in condizioni basali) la sede del collo vescicale e della vescica e lo stato del meato uretrale interno (se chiuso o parzialmente beante).
Durante un ponzamento da parte della paziente si valuta l’eventuale discesa della vescica (cistocele) o del collo vescicale (uretrocele) e una sua eventuale apertura con conseguente o meno perdita di urina.
Con scansioni più posteriori si evidenziano il rettocele e l’enterocele. E’ anche possibile valutare grossolanamente lo stato dello sfintere anale (interno ed esterno) alla ricerca di eventuali pregresse lesioni da parto o iatrogeniche possibili cause di incontinenza.A fronte di un semplice allungamento dei tempi dell’esame si ricavano informazioni estremamente utili all’inquadramento clinico della patologia sopracitata.
Accanto allo studio ecografico, la completezza diagnostica richiede lo studio urodinamico quell’esame che si
compone di valutazioni multiple, eseguibile singolarmente o in associazione, mediante la registrazione dei vari parametri pressori (endovescicali, endouretrali), elettromiografici (e.m.g. degli sfinteri) e flussometrici (flusso minzionale).
La scelta e la frequenza dei diversi test da effettuare variano a seconda delle differenti patologie funzionali e organiche e della diversa esperienza dell’esaminatore.
In sintesi, l’ideale approccio diagnostico alle problematiche dell’incontinenza urinaria femminile è costituito al primo livello dalla valutazione dei sintomi e dei riscontri obiettivi, seguiti da un iter strumentale che deve comprendere ecografia perineale ed esame urodinamico: con tali mezzi si può giungere, nella grande maggioranza dei casi, ad un inquadramento diagnostico preciso, poco costoso e poco invasivo, che consentirà un’adeguata decisione terapeutica.